martedì 26 marzo 2013

La stanza rosa

Sabato sera ho avuto l'onore di portare la mia testimonianza sulla stanza rosa alla festa organizzata a favore dello IOV presso il centro culturale San Gaetano di Padova.
Riporto qui di seguito il mio discorso. 




Buonasera,
mi chiamo Elisa, ho 41 anni e il 14 gennaio scorso ho terminato le terapie presso la stanza Rosa dello IOV. 
Le avevo iniziate a ottobre 2011.
Sono qui a portare la mia testimonianza ma so che le mie parole sarebbero anche quelle  di Maura, Mariangela, Daniela, Chiara, Paola, Rosetta, Silvia, Akima, Serenella, Barbara. Sono le mie sorelle, socie, amiche, compagne di viaggio…
Quando mi sono ammalata di cancro le due più grosse preoccupazioni sono state mio figlio e la chemioterapia.  Mio figlio aveva un anno e mezzo e tanto bisogno delle cure di una mamma. Per quanto riguarda la chemio, invece, mi immaginavo le cure come una sorta di Inferno dantesco. Mi chiedevo se sarei stata in grado di arrivarne alla fine viva.
Il primo giorno di cure lo ricordo come si ricorda il primo amore o l’esame di maturità: è tutto lucido nella memoria. Ero terrorizzata. Alla fine di un lungo corridoio mi è venuta ad accogliere Deborah, uno degli angeli della stanza rosa. Mi ha sorriso con una dolcezza infinita e mi ha fatto accomodare dentro una piccola stanza coccolissima, con le pareti colorate, i quadri appesi. C’è persino uno specchio con un barattolo di cosmetici. Vicino alla finestra coperta da una tenda  in tulle colorato, c’è una pianta. Poche poltrone arancioni  e comode occupano la parete di destra mentre a siniistra c’èun carrello per le medicazioni e un pc che per ascoltare la musica. Vicino a me era seduta un’altra donna più o meno della mia età. Si chiama Rosetta. Siamo state compagne di viaggio ancora per un po’ e ora siamo amiche per sempre. Quel giorno chiacchierammo tantissimo e quasi non mi accorsi che stavo facendo la mia prima terapia.
Da quel momento in poi non ho più avuto paura delle terapie, nonostante alcuni episodi di allergia ai farmaci della chemio non proprio banalissimi.  Ho affrontato il percorso di cura con grande serenità, sentendomi protetta  e soprattutto con tanta voglia di stare con i miei angeli e le mie compagne di avventura .
Non ho mai vomitato durante le terapie. Incredibile perché a me, di solito, basta pochissimo. Sicuramente dipende dagli ottimi antiemetici che ci hanno messo a disposizione ma senza dubbio dipende anche dal mio stato d’animo durante le terapie.
Perché, vi sembrerà incredibile, ma noi in stanza rosa abbiamo anche riso alla grande.  Difficile immaginare delle donne sotto flebo con una diagnosi fresca di cancro che ridono e scherzano, vero? Il dramma non è meno grave se ridiamo ma ridere ci aiuta a superare il panico che si prova davanti ad un problema come il nostro.
Ebbene, nella stanza rosa si riesce a ridere. Ci si scambia anche ricette, consigli, ci si confronta sui propri percorsi terapeutici, si progettano matrimoni, si ascoltano e raccontano storie di vita. A volte si piange. A volte si fa anche silenzio quando capita in stanza una di noi che sta più male del solito o che semplicemente non ha voglia di parlare.
E ora vi sconvolgerò ancora di più nel dirvi che per me e per molte delle donne che ho citato prima, la stanza rosa è stata una casa che ora ci manca un po’.
A fare la forza della stanza rosa sono anche e forse soprattutto le persone che la frequentano e il loro spirito di gioia nonostante le avversità. Perché è bello vivere e nessuno lo sa meglio di noi e di chi lavora per noi e con noi.
Sto parlando quindi di noi ma anche di loro, i nostri angeli custodi, le infermiere Paola, Monica, Cinzia, Deborah. Ci accolgono sempre con un sorriso, sono attentissime a non farci sentire quel maledettissimo ago che entra dentro la pelle.  Ci abbracciano, ci coccolano, ci consolano. Io credo sia difficilissimo stare tutto il giorno con dei malati oncologici e riuscire a mantenere alto lo spirito e il sorriso. Loro ci riescono .
Percorrendo  il corridoio che ci porta alla stanza rosa, mi sono chiesta più volte come mi sarei sentita a tornare qui a causa di una recidiva o di una metastasi. Sarei stata ancora di buon umore, ottimista?  Probabilmente no. Mi mmagino allora come potrei sentirmi arrabbiata nel tornare in un posto così difficile, se poi è anche freddo e poco accogliente.
Concludo, auspicando che tutti i malati di cancro potranno presto essere fortunati come me, come noi,  e avere anche loro la propria stanza rosa, azzurra, lilla… … Perché è impossibile riuscire a chiacchierare in uno stanzone grande e dispersivo – impossibile passarsi le ricette, impossibile ascoltarsi con il cuore, impossibile essere positivi.
Grazie