giovedì 18 febbraio 2016

manca poco

Martedì, tornerò sulla sedia arrancione che mi ha gia vista accomodata per 26 volte che moltiplicate per sei ore, e per le restanti ore nei 3 giorni sucessivi a casa, fanno un sacco di tempo con loro. Se ci penso mi verrebbere da chiedere un risarcimento del tempo, queste ore spartite con qualcuno che abita il mio cuore, quancuno che sa dividere parole, spazi e silenzi. Dovrebbe esserci fornito questa indennità di  tempo. Farei un sacco di cose, e se si potesse ogni volta con qualcuno di diverso.... wow, una gran figata.
Sono intimorita, l'anno scorso quando ho ri-iniziato c'era Stefania con me, e almeno le ore così scorrevano abbastanza, fino a quando lei non finiva, le terapie prima prima c'erano Barbara e Silvia... e ora chi incontrerò... ??? le solite vecchiette lamentose, le donne che dormono, e io che faccio casino con le infermiere, fino a quando il Timeton non mi spacca in due. Che viaggi che mi consente di fare. E' tempo di riprendere, non so se sia la biopsia di martedi ma i dolori si sono intensificati, e odio quel dolore li, a desta dello sterno. Lo odio. Passera. manca poco e loro me lo faranno passare.

La sedia arrancione per me ha sempre avuto un significato profondo, non so se per gli altri malati sia così, ma per me si, è come se ogni volta io riuscissi a costruirci sopra una mia tana, dove tengo con me le mie cose preziose: il telefono, e mp3, bibanesi, acqua, si questa poca! Non riesco a leggere, parlare mi affatica molto, se non sono frasi brevi e di contenuto effimero... passo il mio tempo con le mie canzoni, le raccolte di una vita, e i messaggi...
e osservo. Sono sempre stata una buona osservatrice, osservo le mamme che entrano con le figlie che le accompagnano, per me è sempre stato il contrario, e ora, se dovesse essere entreremmo insieme per fare terapia insieme.
C'era una ragazza che accompagnava la mamma. Lei stava li, in piedi anche due ore e mezza senza emettere un suono. A volte davvero non comprendevo come facesse, aveva una pazienza e una dolcezza negli occhi.
Poi penso a quelle donne che venivano sole, le ho sempre stimate tanto... penso a quelle donne anziane i cui mariti entravano ed uscivano dalla stanza rosa con ansietà, e a quelle più giovani i cui uomini non le lasciavano mai. Io non rientro in nessuna di queste categorie.  Ma va bene così.
Io mi puccio sulla mia sedia, cerco di appisolarmi e lei diviene calda e accogliente, comoda come due forti braccia che ti cullano quando stai male. Già... come due forti braccia che ti cullano quando stai male.... il prezzo del fatto che il mondo ti veda forte, lo paghi anche li. E poi dopo quelle sei ore, quando ti alzi, prendi la tua borsa e infili un passo dopo l'altro, sai che alla fine quella forza ti serve.
Guardi la porta automatica che si apre e sai che c'è l'ascensore, il piccolo tragitto in auto che sembra un giro sulle montagne russe e finalemnte il mio amato letto. E arriva lei, la mia infermiera, Birba.
In casa regna l'agitazione, sempre così, senza che nessuno colga che in quel momento hai solo bisogno di silenzio e tranquillità... Solo bisogno di silenzio e tranquillità...

3 commenti:

  1. Ciao Marta. Chissà se ci incontreremo o se magari i nostri sguardi si sono gia' sfiorati in quelle stanze o in quei corridoi. Ho letto la tua storia nei giorni dell'attesa. Quando ero malata ma ancora non lo sapevo. Ho letto il tuo post adesso e mi sono scese le lacrime. Come se imparassimo a parlare una nuova lingua, sconosciuta ai più. Ti abbraccio!Valentina

    RispondiElimina
  2. Cara Valentina, è impressionante come la nuova lingua sia familiare e la parlata fluida e disinvota. Non conosco la tua storia, io sono qui se vuoi raccontarla, se vuoi sfogarti. Non ho capito se sei più vicina di quello che io possa pensare, allora anche per te lo IOV diventerà una seconda famiglia. e se vuoi, qualche dritta te la do!
    almeno che l'esperienza sia utile a qualcuno!

    ti abbraccio, Valentina, e non sei sola, MAI.

    RispondiElimina
  3. Cara Marta,
    Sono anch'io seguita allo IOV magari prima o poi un abbraccio riesco a dartelo di persona.La mia storia è la storia di tante solo che non pensi mai possa succedere a te e quando ti succede non lo so è come se qualcosa andasse perduto per sempre.Quando ti succeede a 30 anni non lo so se fa più male, a me all'inizio ha fatto e fa tuttora tanta rabbia. Ho 33 anni e l'11 gennaio un nodulo al seno di 4 cm spuntato fuori da non so dove è diventato un tumore al seno triplo negativo G3 con proliferazione al 98 per cento. Un tumore vivace come l'ha chiamato il chirurgo che mi ha dato la diagnosi, una bella sfiga invece per l'oncologo poco più che trentenne che un'ora dopo la diagnosi, nel momento più difficile della mia vita, mi ha spiegato ogni dettaglio sul mio tumore, senza mostrare nessuna empatia, nessuna comprensione per un dolore che ancora adesso mi toglie il fiato. Di fronte al mio silenzio incredulo e alle lacrime di mio marito solo numeri, statistiche, sopravvivenza. Dopo una pet urgente perché mi ha parlato subito della possibilità di avere metastasi già all'esordio ho iniziato la chemio nel giro di tre giorni senza avere il tempo di capire. Ho cambiato ospedale e allo IOV ho trovato molta più comprensione. Rimane tanta rabbia e tanta paura. Guardo i miei bammbini e mi manca il respiro. E mi sento sola anche se so di non esserlo. Ti abbraccio Valentina

    RispondiElimina